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Blog inerente le vertigini

Argomenti discussi dal dott. Alfonso Scarpa specialista in otorinolaringoiatria

Approfondimenti: La valutazione medico legale della malattia di Menière


Introduzione
La malattia di Menière (MdM) è certamente una patologia estremamente complessa e ancora controversa, sebbene ormai conosciuta da centocinquanta anni, con molte sfaccettature da prendere in considerazione per comprendere appieno ed identificare gli aspetti con cui colpisce i pazienti e la loro vita. Tuttavia, la complessità della malattia non è mai stata una risposta specifica in Medicina Legale, sopratutto a causa delle oggettive difficoltà di valutazione di segni e sintomi che, nella maggior parte dei casi, vengono riferiti dai soggetti affetti e solo parzialmente ottengono una specifica collocazione diagnostica da parte dei medici.


Inquadramento di una patologia complessa

Nel 1861 Prosper Menière presentò all’Accademia Imperiale di Medicina di Parigi una comunicazione in cui descriveva un caso clinico riguardante la presenza di un infiltrato linfomatoso nel labirinto di un paziente che aveva sofferto di ipoacusia, acufeni e crisi vertiginose. Da allora, la “malattia di Menière” viene identificata dalla triade sintomatologica rappresentata dalla presenza di vertigini, ipoacusia e acufeni. Tale corteo così descritto, pur definito“classico” della malattia, è frequente in altre patologie dell’orecchio interno. Recentemente si è affermato che è patognomonica della MdM la contemporanea presenza di una sintomatologia con ipoacusia neurosensoriale nelle fasi iniziali per i toni gravi ed a carattere fluttuante, vertigini oggettive di durata variabile sino a tre ore ed acufeni. Nel 3% dei casi la malattia esordisce con una forma di ipoacusia bilaterale. La MdM è per questo da ritenersi altamente invalidante, anche se non ha mai trovato un preciso riscontro in sede medico legale, sia per l’oggettiva difficoltà nella valutazione di segni e sintomi - che nella gran parte dei casi sono solo riferiti dai soggetti e solo in parte obiettivabili (es. acufeni), sia per l’assoluta mancanza di chiarezza su gran parte della fisiopatologia di tale patologia sia per la variabilità nel tempo del quadro clinico.
Molti Autori attualmente concordano sul fatto che l’eziologia della MdM sia multifattoriale, e che essa possa manifestarsi improvvisamente, anche a seguito di eventi particolarmente stressanti. Altro elemento importante da sottolineare è la sua caratteristica ricorrenza e recrudescenza con crisi più o meno gravi ed intense, oltre che di durata variabile.
L’eziopatogenesi può trovare una spiegazione anatomica, genetica, immunologica, virale, metabolica, psicologica o essere conseguenza di episodi di emicrania o di patologia vascolare specialmente a livello endoteliale. Ciò implica che a tutt’oggi la MdM rappresenta una realtà controversa e dalle molte sfaccettature. A conferma, il fatto che il comportamento e l’evoluzione della malattia è decisamente imprevedibile e, soprattutto, che la terapia è essenzialmente empirica: dietetica, farmacologica, chirurgica, ivi inclusa l’applicazione transtimpanica di steroidi o di farmaci ototossici. Va detto che dal 1967 ad oggi non vi sono in merito studi scientifici che dimostrino la validità scientifica EBM di questi approcci terapeutici.

Stadiazione della malattia
Da un punto di vista puramente clinico, la malattia di Menière è suddivisa in tre stadi:
Nello stadio I (fase canalare iniziale) predomina la vertigine oggettiva rotatoria, accompagnata da fenomeni neurovegetativi: nausea e vomito, sudorazione e in alcuni casi diarrea. La crisi è preceduta da sensazione di ovattamento auricolare, come di un corpo estraneo, ed acufeni di bassa frequenza nell’orecchio malato. La crisi dura in genere da 20 minuti a 3 ore e non si accompagna a perdita di conoscenza. Risoltasi la crisi vertiginosa scompaiono l’ipoacusia parcellare sui toni bassi, la sensazione di tappamento auricolare e l’acufene.  Pertanto la Sindrome di Lermoyez, “la vertigine che fa sentire” non va considerata una malattia a parte ma un momento della MdM.
Il decorso della malattia è discretamente capriccioso ed imprevedibile: gli attacchi possono presentarsi raggruppati per alcune settimane o ricomparire dopo anni o cessare spontaneamente del tutto. La storia riferita è incentrata sui sintomi vertigine, nausea e vomito e sull’acufene.
Nella fase canalare florida l’ipoacusia diviene più evidente, per quanto tenda ancora a fluttuare. La curva audiometrica evidenzia una ipoacusia neurosensoriale con maggiore compromissione dei
toni di bassa frequenza e con iniziale compromissione delle frequenze acute (curva “appesa”). Le crisi vertiginose divengono più frequenti, con remissioni estremamente variabili, e sono ancora precedute da sensazione di orecchio pieno e da acufeni nell’orecchio sordo.
Lo stadio II (Fase Maculare) è caratterizzato da una ipoacusia neurosensoriale severa, con curva piatta, stabile, sui 70 dB. Le crisi vertiginose tendono ad attenuarsi per intensità e a diradarsi nel tempo e ad essere sostituite da uno stato di instabilità. Tipico del II stadio è la comparsa di violente sensazioni di spinta lineare che proiettano il paziente per terra, verso l’avanti o all’indietro (catastrofe otolitica di Tumarkin) non precedute da alcun segno premonitore e, a volte, causa di severi traumatismi (Drop vestibolare). I fenomeni sembrano imputabili ad una rottura della membrana dell’utricolo.
Lo stadio III (di stasi) segue dopo un periodo variabile di 6 mesidue anni. Si presenta con ipoacusia stabilizzata sui 60-70 dB, una temibile instabilità posturale e deficit labirintico totale.
Talvolta, cessata questa fase, la malattia può coinvolgere l’orecchio controlaterale.

Campi e criteri di valutazione medico legale

Da quanto sopra esposto, si intuisce facilmente l’estrema complessità di ottenere una diagnosi medico legale della patologia.  Se è vero, infatti, che in ambito di invalidità civile, il soggetto ha
l’obbligo di produrre la documentazione sanitaria alla commissione medico legale per l’accertamento degli stati d’invalidità, la quale, in genere, ritiene sufficiente quanto prodotto dal paziente e non effettua ulteriori accertamenti, non può chiaramente dirsi altrettanto nell’ambito, molto più controverso, della responsabilità civile auto e nell’intricato mondo della valutazione medico legale in
ambito assicurativo.  In questi casi il medico legale può trovarsi di fronte ad un soggetto che, in seguito ad un banale trauma cranico, manifesti tutto un corteo sintomatologico  estremamente complesso e fastidioso, pur senza alcun riscontro diagnostico specialistico (anche perché non è detto che il paziente stesso sappia in quella circostanza di essere affetto da una MdM). Questo porta il medico a ritenere che
il paziente “ingigantisca” la sintomatologia, spinto dall’ovvio interesse remunerativo. Pertanto, spesso il medico legale riconosce esclusivamente una “sindrome soggettiva del cranio-traumatizzato”, la cui percentuale valutativa risulta attorno al 2-3%, ignorando l’esistenza della MdM. E del resto, pur ipotizzando la presenza di tale patologia correlata ai sintomi che il paziente riferisce di aver
manifestato a seguito dell’incidente in questione, l’estrema variabilità degli intervalli tra una crisi e l’altra possono costituire un ostacolo insormontabile per poter porre diagnosi nel momento di “benessere” del paziente Giova allora porre in debita considerazione la  qualità della vita
del malato menierico. Ipoacusia, vertigini ed acufeni sono tra i principali fattori che determinano una cattiva qualità di vita e quindi, a cascata, una progressiva diminuzione, fino alla perdita, del funzionamento globale della personalità: un complesso stato di invalidità. Il restante corteo neurovegetativo (nausea e vomito) e psicologico (ansia e depressione) comportano lo scadimento globale della personalità con l’attivarsi di reazioni che si autoalimentano a vicenda, quali perdita dell’energia vitale, dolore legato al vissuto della malattia cronica, perdita di autonomia, stato di allarme continuo causato dal logorio dell’attesa della crisi che certamente arriverà, pur non sapendo quando.
Ciò implica che la MdM è una malattia che comporta una notevole disfunzionalità dell’individuo, che rende decisamente invalidante la malattia: l’incontrollabilità dei sintomi, determina lo scadimento del funzionamento globale della personalità e il peggioramento della qualità della vita, elementi che non possono tacersi in ambito medico legale.
Della triade sintomatologica, la vertigine è certamente quella che rappresenta l’esperienza più traumatica per i pazienti e, come ogni malattia che toglie il controllo del proprio corpo, la MdM crea uno stato di tensione che nei momenti di crisi diventa angoscia e dopo depressione.  Uno studio della Università di San Diego, presentato alla società americana di Audiologia nel maggio del 2000, ha voluto soffermare
l’attenzione sull’impatto della MdM nella sfera psichica e mentale del soggetto affetto dalla malattia. Tale studio ha affermato come tale patologia abbia una seria refluenza sullo stato psico-sociale sia
del malato che della propria famiglia, e come in conseguenza della patologia il soggetto sviluppi con alta percentuale una sindrome depressiva, con una riduzione della qualità della vita nel 43,9% dei
casi dallo status di benessere ottimale, con implicazioni nella mobilità, nell’attività psichica, sociale e nei processi ideativi. L’ipoacusia più sopra descritta, in primis è certamente un fattore invalidante. Non riconoscere un rumore non solo crea disagio al soggetto, ma anche tensione o allarme per timore di un pericolo che può essere vero o presunto; ancor peggio, poi, è non riconoscere la fonte di origine del suono. Ciò ovviamente ha evidenti refluenze anche nel (re)inserimento lavorativo di un soggetto
menierico, con ulteriori profonde conseguenze socio-familiari ed economiche, cui per dovere di brevità non ci soffermiamo. Altro problema rilevante è quello della protesizzazione, indispensabile e consigliata ai soggetti con sindrome bilaterale, ma a volte indispensabile anche ai monolaterali se il controlaterale presenta un’altra patologia o l’attività lavorativa del malato lo richieda. Ma è estremamente difficile dare una protesi ad un menierico, poiché le continue fluttuazioni dell’udito e la presenza del fenomeno del
recruitment non rendono semplice l’applicazione del sussidio protesico uditivo che deve essere continuamente adattato alle precipue caratteristiche dell’udito.


Invalidità civile

Secondo la definizione di legge della invalidità civile che si fonda sulla definizione datane dal Gerin, in termini di unità della “validità” dell’uomo, la legge tutela i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo (percentuale di invalidità superiore al 33%, dunque), oppure, se minori di anni 18 o maggiori di anni 65, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età. Com’è noto, l’attuale riferimento legislativo è rappresentato dal
Decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992 “Approvazione delle nuove tabelle indicative delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti”, pubblicato nel supplemento ordinario 47 della GU del 26 febbraio 1992 ed in vigore dal 12 marzo 1992.
La tabella è articolata in cinque parti e si basa sulla classificazione internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui la “menomazione” rappresenta una perdita o anomalia di una funzione o di un apparato dell’organismo umano; la disabilità è la riduzione di una competenza, o l’assenza della possibilità di esecuzione di una attività secondo la norma e l’handicap la condizione di svantaggio sociale che la menomazione e/o la disabilità determinano nel soggetto che ne sia affetto.
Di fatto, nelle tabelle di riferimento del suddetto decreto ministeriale non è presente la voce “Malattia di Menière”, ed è quindi logico che una sua corretta valutazione possa avvenire dalla complessiva ponderazione dei singoli danni permanenti secondari alle menomazioni che la malattia porta con sé (ai sensi dell’art. 1, comma 3, e dell’art. 2, comma 2, del D.L. 23/11/’88 n.509). Sotto l’apparato vestibolare (pagina 99 del supplemento 47 G.U. 26/2/’82) troviamo la voce: “vertigini in grandi crisi parossistiche”, codice 4107, con una percentuale prevista da un minimo del 31% ad un massimo del 40%. Nella seconda parte della tabella (“Indicazioni per la valutazione dei deficit funzionali”), sempre sotto l’apparato vestibolare, troviamo: “... Le grandi crisi, parossistiche vertiginose [...]. Frequente l’associazione con ipoacusie di tipo misto e neurosensoriali. In questo quadro rientrano anche la sindrome e le Malattie di Menière” (pagina 30 supplemento G.U. cit.).
•  La valutazione dell’invalidità determinata dalle crisi vertiginose parossistiche nella MdM è perciò pari a una percentuale oscillante tra il 31% e il 40%. Una determinazione più precisa si otterrà dal referto dello specialista otorino, meglio se otoneurologo, che perciò deve essere il più dettagliato e preciso
possibile specificando, nella documentazione sanitaria prodotta che il paziente dovrà consegnare alla Commissione accertativa, la frequenza, l’intensità e la durata delle crisi pregresse, nonché la loro imprevedibilità e imponderabilità (cioè l’impossibilità di prevedere quando si ripeteranno e con quale intensità). Chiaramente, nella forbice valutativa tutte queste variabili più o meno presenti in condizioni di gravità, possono spingere il medico accertatore ad una percentualizzazione verso la fascia più
alta piuttosto che nella quota inferiore. •  Relativamente alla menomazione dell’apparato uditivo nella MdM, la seconda parte della tabella specifica: “... Il punteggio relativo ad ipoacusia ad andamento fluttuante è fortemente discontinuo nel tempo (... Malattia di Menière ecc.) deve scaturire da un periodo di osservazione di almeno 1 anno mediante l’esecuzione di almeno 3 esami otofunzionali, effettuati ogni 3-4 mesi. Il punteggio deriverà dalla media della perdita fra i tre esami. Inoltre è raccomandata la revisione ogni tre anni. ...” (pagina 25 supplemento G.U. cit.).
•  Nella terza parte della tabella, sotto apparato uditivo, troviamo la voce: “Perdite uditive mono e bilaterali pari o inferiori a 275 dB” , codice 4005 (pagina 96 supplemento G.U. cit.), punteggio da 0 a 59% come da tabelle allegate a pagina 98 del citato supplemento della Gazzetta Ufficiale; tale punteggio viene calcolato con la somma aritmetica delle perdite uditive espresse in decibel (dB) alle frequenze di 500, 1000 e 2000 Hz in ascisse per l’orecchio peggiore e in ordinata per l’orecchio migliore.
•  Per quanto concerne infine gli acufeni, la percentuale per “acufeni permanenti o sub continui di forte intensità e insorti da più di tre anni”, codice 4001, risulta pari al 2% fisso, nonostante questa sia, a nostro avviso, la percentuale più “scorretta” tra quelle considerate per la patologia, proprio in virtù di quella notevole alterazione della qualità della vita che gli acufeni comportano nel malato menierico La normativa dell’invalidità civile risulta estremamente chiara nella definizione della valutazione globale: essa infatti afferma alla pagina 12 del supplemento G.U. che “... Nel caso di infermità plurime, i criteri per giungere alla valutazione finale sono i seguenti: sono calcolate dapprima le percentuali relative alle singole infermità ... Di seguito, occorre tenere presente che le invalidità dovute a menomazioni multiple per infermità tabellate e/o non tabellate possono risultare da un  concorso funzionale di menomazioni
ovvero da una semplice loro coesistenza. Sono funzionalmente in concorso tra loro, le menomazioni che interessano lo stesso organo o lo stesso apparato. ...Sono in coesistenza le menomazioni che interessano organi ed apparati funzionalmente distinti tra loro. In questi casi dopo aver effettuato le valutazioni percentuali di ciascuna menomazione si esegue un calcolo riduzionistico mediante
formule espresse in decimali: IT = IP1 + IP2 - (IP1 x IP2)” dove IP1 è la percentuale invalidante della prima condizione invalidante e così via con le altre.
Dal punto di vista funzionale (ma anche evoluzionistico e scientifico) in realtà si potrebbe anche ritenere che la minorazione uditiva coesista con la disfunzione dell’apparato vestibolare. L’organo è lo stesso, l’orecchio interno ma le funzioni sono completamente diverse.
Non può tuttavia sottacersi che nel caso le due menomazioni (vertigine ed ipoacusia) venissero considerate coesistenti, si dovrebbe applicare la formula del calcolo riduzionistico sopra riportata.
Pertanto questa ultima soluzione è certamente meno vantaggiosa per l’assicurato.
Pertanto, considerando una forma di MdM al secondo-terzo stadio (raramente giunge richiesta di invalidità al primo stadio ed in ogni caso la non stabilizzazione dei sintomi renderebbe ogni valutazione estremamente complicata), osserveremo una perdita uditiva di 65 dB alle frequenze di 500, 1000 e 2000
Hz che è valutata 9% se monolaterale e 36% se bilaterale. Aggiungiamo gli acufeni 2% e le vertigini 31-40%. A tali valori va aggiunto il 5% determinato dalla refluenza sulla capacità lavorativa specifica e la depressione endoreattiva media (25%).
1 a) Se il medico legale vorrà considerare la triade sintomatologica quale complesso di  menomazioni concorrenti in presenza di una Ipoacusia monolaterale: 9 + 2 + 35 (non somma aritmetica, ma valutazione complessiva), onde una valutazione di circa il 45%. 1 a). Calcolando inoltre (come coesistente) la depressione endoreattiva media, dovremo prima applicare la formula del calcolo riduzionistico e successivamente aggiungere il 5% determinato dalla refluenza sulla capacità lavorativa specifica:  Valutazione complessiva = 63% (senza la capacità lavorativa 58%).
1 b) In presenza di una  sintomatologia bilaterale  valutata quale conseguenza di menomazioni concorrenti bilaterali: 36 + 2 + 35:  Valutazione complessiva = 70%.  Sommando l’eventuale stato depressivo e refluenza sulla capacità di lavoro: 82%.
2 a) Se il medico legale valuterà la sintomatologia monolaterale quale conseguenza di patologia coesistente monolaterale: Ipoacusia e Acufeni NON potranno essere considerati in
quanto valutati in tabella come inferiori al 10%. Si potrà considerare solo la  Sintomatologia vertiginosa, quindi:  35%. Sommando eventuale depressione e refluenza sulla capacità di lavoro: 54%.
2 b) Se dovremo valutare le  menomazioni coesistenti presenti bilateralmente gli Acufeni NON verranno valutati. Alla valutazione della Ipoacusia (questa volta valutabile in quanto bilaterale) e delle Vertigini andrà applicata la formula del calcolo riduzionistico. Pertanto Ipoacusia e Vertigini verranno valutate 59%. Sommando eventuale depressione e refluenza sulla capacità di lavoro: 74%. La conoscenza della patologia otoneurologica sembra avvalorare la tesi per la quale Ipoacusia e Vertigini vadano considerate coesistenti, in quanto solo apparentemente riguardano uno stesso organo. L’ipoacusia è determinata da una patologia del labirinto anteriore cocleare e la vertigine di quello posteriore o vestibolare. Trattasi di due strutture, tra loro “comunicanti” ma che svolgono finalità diverse dal punto di vista sensoriale: udito e percezione del corpo rispetto allo spazio. L’informazione di queste due forme di sensibilità verrà trasmessa a centri corticali differenti e da vie nervose specifiche: non svolgono pertanto la stessa funzione.
Ancor più complesso valutare gli Acufeni. Questi creano notevole disagio nel paziente ed alterano il suo equilibrio psichico. La loro valutazione medico legale è resa complessa dal fatto che non
sono obiettivabili, anche se è possibile affermare che essi sono certamente presenti se il paziente è affetto da MdM. Acufeni coesistenti o concorrenti? A nostro avviso coesistenti, in quanto vero è che a “ suonare” sembra essere l’orecchio, ma oggi sappiamo che la patologia non ha origine periferica ma centrale, probabilmente a livello di amigdala e comunque con il coinvolgimento delle strutture limbiche. Il fenomeno degli acufeni è in tutto assimilabile a quello dell’arto fantasma: una ricostruzione corticale di quello che non c’è. Sappiamo che in pazienti amputati in un arto spesso compare un fastidioso prurito nell’arto asportato. Valutiamo il prurito (ovvio che il prurito non ha una valutazione, stiamo esprimendo un concetto)  concorrente  con l’amputazione dell’arto che non c’è?
Riepilogando, nella MdM se le due infermità - Vertigini ed Acufeni
- dovessero essere considerate  concorrenti, si dovrà effettuare una valutazione globale delle menomazioni, ivi inclusi gli acufeni che, qualora considerati coesistenti non verrebbero riportati nella
percentuale finale in quanto valutati inferiori al 10%. Viceversa, se si ammette l’ipotesi meno scientifica dell’acufene come  concorrente la valutazione sarebbe più favorevole. Va detto che la persona con MdM talvolta preferisce evitare di inoltrare la richiesta per il riconoscimento dell’invalidità civile, per la
paura che i dati sulla sintomatologia vertiginosa possano essere contestualmente trasmessi agli uffici della Motorizzazione Civile con il rischio di revoca della patente di guida.

Malattia di Menière e legge 104/92
Certamente importante è infine considerare la MdM nell’ambito della nota legge n. 104 del 5 febbraio 1992 (“Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”), pubblicata in G.U. n. 39 supplemento ordinario del 17 febbraio 1992. Scopo della legge è quello di garantire “…il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata...”, promuoverne “…la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società…”, prevenire e rimuovere “…le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali…”, ed ancora perseguire “…il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali…” e assicurare “… i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata…” All’articolo 9, peraltro, la legge specifica la sussistenza del servizio
di aiuto personale destinato ai “…cittadini in temporanea o permanente grave limitazione dell’autonomia personale non superabile attraverso la fornitura di sussidi tecnici, informatici, protesi o altre forme di sostegno rivolte a facilitare l’autosufficienza e le possibilità di integrazione dei cittadini stessi…”.
Non è fuori luogo allora considerare che nel caso di soggetti affetti da MdM possa riconoscersi la tutela garantita dalle legge 104 e con essa la possibilità di disporre di tempi più adeguati al proprio
percorso di vita e di cura, ma anche alle particolari condizioni di rapporto con il mondo lavorativo e di vita, per garantire quell’integrazione lavorativa e sociale che è lo scopo fondamentale della normativa in esame.

Malattia di Menière e assicurazioni sociali
In ambito previdenziale, la MdM può certamente essere considerata al fine di garantire la finalità sociale della tutela del cittadino che l’INPS si propone. Riferendoci alla legge 222/1984, infatti, è evidente come la complessa clinica della MdM comporti una “infermità o difetto fisico o mentale” in grado di ridurre “in modo permanente a meno di un terzo” la capacità di lavoro dell’assicurato che, quindi, ha tutte le caratteristiche per definirsi invalido. Al di là della specifica “a meno di un terzo”, il problema fondamentale riguarda il fatto che in ambito previdenziale la valutazione va fatta caso per caso, guardando non già la percentuale di danno della malattia patita dal soggetto, quanto proprio la sua capacità di lavoro. Questa, infatti, può essere definita come l’idoneità ad utilizzare con profitto le energie lavorative indipendentemente dall’influenza di fattori economico-sociali ed ambientali; il riferimento alle occupazioni confacenti alle proprie attitudini, invero, concerne le disposizioni individuali psico-somatiche spontanee, innate ovvero acquisite nel corso degli anni, che rendono ogni soggetto idoneo a svolgere una prestazione lavorativa (o un gruppo di prestazioni) piuttosto che un altra. Le occupazioni confacenti, allora, sono quelle che quell’assicurato ha esercitato, in maniera continuativa, durante la propria vita lavorativa e professionale. Pertanto, nell’ambito della MdM, la stessa sintomatologia , in rapporto alla specifica attività lavorativa del soggetto, può giocare un ruolo fondamentale nella concessione o meno delle prestazioni economiche (nello specifico, l’assegno di invalidità e, forse solo in casi estremi, della pensione di inabilità, condizione questa che richiede “l’assoluta incapacità a disimpegnare qualsivoglia attività produttiva, anche non confacente o usurante”): non si vede, infatti, come la triade sintomatologica della MdM non possa influire negativamente nello svolgimento di attività lavorative specifiche (pensiamo, ad esempio, all’antennista o, ancor peggio, all’autotrasportatore) ma anche generiche (impiegato del  call center  che, benché operi
seduto, risulta certamente infastidito dai continui acufeni). L’ambito assicurativo INAIL, allora, verrebbe ad essere interessato in misura secondaria, non già per ciò che concerne gli infortuni sul
lavoro (manca qui a nostro avviso sia l’accidentalità imprevista, sia la causalità violenta, per ciò che concerne gli elementi costitutivi dell’infortunio sul lavoro) o le malattie professionali (ove si richiede
un notevole rigorismo valutativo nell’analisi del nesso di causalità), ma essenzialmente per tutto ciò che riguarda la prosecuzione dell’attività professionale in caso di preesistente sindrome e l’ambito
della valutazione idoneativa da parte del medico competente. Si rende infatti evidente come l’ambito dell’idoneità lavorativa non sia secondario, parlando della MdM, poiché di fatto è necessario che il
soggetto menierico che intraprenda o continui un’attività lavorativa si trovi nelle condizioni di non costituire un problema, o peggio un pericolo, per sé e gli altri. Un quesito, però, sorge spontaneo: la persona con MdM deve essere considerata un soggetto a rischio professionale?
Vero è che l’insorgenza della vertigine nell’espletamento di specifici lavori può comportare un incremento del rischio di infortuni, ma la caduta dall’alto, ad esempio, non può essere evitata semplicemente adottando le obbligatorie misure di sicurezza sui luoghi di lavoro?
In definitiva l’obbligo del medico di refertare quanto osservato non può rappresentare un alibi per il datore di lavoro, pubblico o privato, che invece deve garantire la sicurezza del posto di lavoro sia al
paziente con MdM sia a quanti di vertigini non soffrono abitualmente alattia di Menière, assicurazioni
private e responsabilità civile. Una valutazione dell’invalidità permanente legata alla MdM nel
campo dell’assicurazione privata sembra francamente improponibile; la patologia, infatti, per via della sua etiologia rientrerebbe a stretto rigore all’interno dei motivi di esclusione in quanto preesistente alla data di stipulazione della polizza e, comunque, nella maggior parte dei casi, a scanso di equivoci, le compagnie fanno rientrare la MdM tra le “malattie gravi o significative”, degli organi di senso, di cui l’assicurato non deve soffrire né all’atto della stipula, né precedentemente ad esso, al fine di validare la polizza stessa. Mentre poi in tale ambito si richiede una causalità diretta ed esclusiva, altrettanto non può dirsi per quanto concerne il danno biologico correlato alla Responsabilità Civile auto. Tuttavia,
è bene premettere alcune considerazioni prima di “tentare” una possibile valutazione percentuale specifica. Le vertigini “post-traumatiche” rappresentano nel novero dell’infortunistica stradale una delle principali cause per richieste di risarcimento. Tuttavia, la complessa organizzazione anatomopatologica,
la frequente mancanza di correlazione fra danni anatomici e clinica, l’esistenza di numerosi criteri valutativi, la differente valutazione dell’obiettività e dei riscontri strumentali costituiscono solo alcuni degli elementi che giustificano la notevole difficoltà della valutazione medico legale di questo sintomo, ancor più se considerato all’interno della MdM, problema questo ancora a nostro avviso ben lungi dall’essere codificato e risolto in maniera univoca. Alla luce di queste premesse, sarà pertanto il danno, allo stato o stabilizzato, all’apparato dell’equilibrio originato da disfunzioni delle strutture vestibolari, propriocettive, visive, neurologiche, psichiche, in cui si possa riconoscere dal punto di vista medico legale un’etiologia ascrivibile ad un evento traumatico. Peraltro i disturbi riferiti dal soggetto non sono mai espressione dei “reperti clinici”, in quanto la “percezione” del sintomo varia in rapporto a caratteristiche individuali, che comprendono fattori fisici (età, integrità o meno dei sistemi visivo, vestibolare e propriocettivo), psichici (ansia), costituzionali (variabilità inter-individuale). Il danno vestibolare, a differenza di quello cocleare, non è ancora codificato in maniera unanimemente condivisa. Questo comporta delle significative variazioni in termini di diagnosi, di iter clinico-strumentale, di valutazione medico legale. Oggi il bilancio strumentale si avvale di tecniche molto affidabili, grazie anche all’apporto di software, che garantiscono analisi quali-quantitative ad alta definizione per la standardizzazione, che insieme all’esame obiettivo standard può aiutare l’otoneurologo ad esprimere un giudizio diagnostico accurato. Senza volersi dilungare eccessivamente nel merito, ricordiamo come il punto cardine della valutazione medico legale in responsabilità civile sia il rapporto di causalità, ovvero il nesso che corre tra due fenomeni che assumono l’uno la qualità di causa e l’altro quella di effetto: perché allora venga dimostrato un “nesso di causalità” occorre che siano soddisfatti tutti i criteri di probabilità scientifica, di esclusione di altre cause, di efficienza lesiva, di sufficienza, di cronologia, di continuità fenomenica, tra l’evento e la sua conseguenza sul soggetto che viene leso. Se ciò appare complesso già per la semplice sindrome vertiginosa post-traumatica, che nella pratica viene comunque riconosciuta dal medico fiduciario della compagnia assicurativa  pro bono
pacis (considerato anche che questa, di per sé, prevede una minima valutazione percentuale, intorno al 2%), estremamente complessa appare invero innanzitutto riconoscere un valido nesso di causalità tra un trauma e l’insorgenza tout court, o la slatentizzazione, di una MdM e, non ultimo, una sua corretta percentualizzazione medico legale.
Per il giudizio medico legale è fondamentale, infatti, la ricostruzione più accurata possibile dello stato anteriore del leso, ovvero quel complesso di condizioni cliniche individuali, generali o locali, congenite o acquisite, anatomiche, fisiopatologiche o patologiche, preesistenti all’azione del trauma o dell’antecedente di rilevanza giuridica. È logico come in quest’ambito non sia possibile dare giudizi universali ma, ancora una volta, solo una valutazione caso per caso potrà portare ad una corretta epicrisi medico legale, tramite l’esame della letteratura, dalle modalità dello specifico trauma, dal tempo intercorso tra quest’ultimo e l’insorgenza della sintomatologia, dallo stato anteriore del leso.
Va da sé che il medico legale che si trovi a dover decidere riguardo ad un caso di MdM post-traumatica non potrà non indagare accuratamente sullo stato anteriore del soggetto, sulla sua precedente storia clinica, per poter comprendere se effettivamente si tratti di una malattia scaturita improvvisamente a seguito del trauma ovvero se sia stata solo slatentizzata dallo stesso. In questo caso, ovviamente, un conto è basarsi su un oggettivo peggioramento clinico e strumentale di determinati segni e sintomi (un evidente e documentato peggioramento delle prove vestibolari, un notevole scadimento dell’acuità uditiva), con la conseguente necessità di capire se sia stato realmente il trauma a determinare l’aggravamento e non, ad esempio, l’evoluzione clinica della malattia; un conto ben diverso è basarsi su semplici riferite circostanze da parte del malato, senza una prova cartacea che avvalori la sua tesi. È possibile riportare alcune possibili “giustificazioni” fisiopatologiche alla possibile correlazione tra trauma cranico e MdM. Innanzitutto, va detto che la letteratura non si è espressa in maniera definitiva circa una reale connessione tra MdM e traumi, e ciò per la carenza di una chiara definizione della malattia e per l’intrinseca difficoltà nella quantificazione del trauma cranico. Sembra comunque essere ragionevole il fatto che la MdM, che alla fine può essere scatenata dallo squilibrio di un largo numero di potenziali meccanismi patogeni, possa essere causata anche da un trauma cranico. Tutti i casi studiati di MdM post-traumatica sono attribuiti a cambiamenti idrodinamici dovuti alla cicatrizzazione seguente al sanguinamento dell’orecchio interno. Sono riportati anche casi di MdM dopo fratture dell’osso temporale, così come anche dopo semplice trauma accelerativo-decelerativo. Abbiamo tuttavia più sopra riportato alcune possibili “giustificazioni” fisiopatologiche alla possibile correlazione tra trauma cranico e MdM.